Tutto è “sostenibile”, niente lo è davvero

Il paradosso verde del nostro tempo

di Stefano Conte

Prima fu il petrolio, poi venne il verde.
Non quello dei prati, ma quello dei bilanci.

Viviamo immersi in un mondo dove ogni parola si tinge di verde. Verde è il supermercato che incarta la plastica con l’etichetta “bio”. Verde è il politico che si scopre ecologista sotto elezioni. Verde è l’edificio in cemento armato che, con due piante sui balconi, diventa “smart” e “resiliente”.
È il colore della speranza, dicono. Ma quando la speranza diventa marchio, si vende come tutto il resto.

Il problema non è la sostenibilità. È l’abuso della parola, l’usura del concetto.
Tutti parlano di transizione ecologica, ma pochi si chiedono da dove partiamo e dove stiamo andando. E intanto l’etichetta “sostenibile” copre ogni peccato, come una foglia di fico sopra un disboscamento.

Una parola è come una pietra: può servire a costruire un ponte o a nascondere una voragine.
“Sostenibile” un tempo significava sopportabile, equilibrato, armonioso. Oggi è un aggettivo universale, adattabile a qualsiasi prodotto, evento, misura o protocollo, purché venga stampato su carta riciclata.

Siamo passati dalla concretezza dei gesti al marketing delle intenzioni. E non è una colpa individuale: è un costume collettivo, una moda che ha perso il suo contenuto e continua a sfilare su passerelle di cartone.

Il 5 giugno celebriamo la Terra, o almeno così ci piace raccontarcela.
Ma tra un panel sulle buone pratiche e un post sponsorizzato da una compagnia aerea “green”, si rischia di dimenticare il nodo centrale: non basta nominare il problema per risolverlo. E non basta piantare un albero se nel frattempo se ne abbattono cento per costruire l’ennesimo villaggio “eco-luxury”.

La sostenibilità vera è fatta di scelte scomode, rinunce silenziose, coerenza senza palcoscenico. È la vecchia contadina che ricicla l’acqua del lavandino per le piante, non il colosso industriale che lancia il suo “manifesto verde” con un evento a cinque stelle.

No, non è un attacco alla sostenibilità. È una difesa del suo senso più profondo.
Perché chi, come me, crede che le parole siano mattoni morali, non può rimanere indifferente quando le vede svuotate, svendute, sbandierate come slogan in saldo.

Se tutto è sostenibile, niente lo è davvero.
E allora, in questa Giornata dell’Ambiente, proviamo almeno a non prenderci in giro.

Invece di domandarci “è sostenibile?”, forse dovremmo chiedere: “chi lo dice? con quale coerenza? e a quale prezzo?”

Il verde non è una moda. È una responsabilità.
E le responsabilità, si sa, non si stampano su carta patinata.

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