Viviamo in un tempo che premia la risposta pronta.
Chi esita è sospetto. Chi domanda troppo viene corretto. Chi dubita… viene ignorato.
La velocità ha colonizzato anche il pensiero: serve una risposta rapida, chiara, definitiva — possibilmente a portata di touch.
Ma la verità è che le risposte chiudono.
Le domande, invece, aprono.
Una risposta rassicura.
Una domanda disturba — in senso buono: ti costringe a spostarti, a guardare meglio, a cambiare prospettiva.
Una risposta ti fa sembrare in controllo.
Una domanda ti fa sentire vivo.
Le risposte sono comode.
Le domande, scomode.
Eppure è proprio il fastidio che ci sveglia.
La domanda giusta, al momento giusto, può spostare un’intera esistenza di mezzo grado.
E mezzo grado, se lo segui abbastanza a lungo, ti porta in un’altra vita.
Il paradosso è che viviamo in un’epoca piena di risposte — ma con pochi interrogativi autentici.
Tutti pronti a dire cosa pensano, pochissimi disposti a chiedersi perché lo pensano.
Le domande migliori non si dimenticano.
Restano lì, sul fondo, come i fondi del caffè in una tazzina lasciata un po’ troppo tempo sul tavolo.
Ti guardano.
Non chiedono permesso.
Ti sussurrano: “Davvero sei sicuro di tutto questo?”
Una risposta può vincere una discussione.
Una domanda può aprire un sentiero.
Ecco perché, a volte, la risposta migliore…
è un’altra domanda.