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Stefano Conte

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Il paradosso della settimana

Tutto è “sostenibile”, niente lo è davvero

di Stefano Conte 5 Giugno 2025
scritto da Stefano Conte

Prima fu il petrolio, poi venne il verde.
Non quello dei prati, ma quello dei bilanci.

Viviamo immersi in un mondo dove ogni parola si tinge di verde. Verde è il supermercato che incarta la plastica con l’etichetta “bio”. Verde è il politico che si scopre ecologista sotto elezioni. Verde è l’edificio in cemento armato che, con due piante sui balconi, diventa “smart” e “resiliente”.
È il colore della speranza, dicono. Ma quando la speranza diventa marchio, si vende come tutto il resto.

Il problema non è la sostenibilità. È l’abuso della parola, l’usura del concetto.
Tutti parlano di transizione ecologica, ma pochi si chiedono da dove partiamo e dove stiamo andando. E intanto l’etichetta “sostenibile” copre ogni peccato, come una foglia di fico sopra un disboscamento.

Una parola è come una pietra: può servire a costruire un ponte o a nascondere una voragine.
“Sostenibile” un tempo significava sopportabile, equilibrato, armonioso. Oggi è un aggettivo universale, adattabile a qualsiasi prodotto, evento, misura o protocollo, purché venga stampato su carta riciclata.

Siamo passati dalla concretezza dei gesti al marketing delle intenzioni. E non è una colpa individuale: è un costume collettivo, una moda che ha perso il suo contenuto e continua a sfilare su passerelle di cartone.

Il 5 giugno celebriamo la Terra, o almeno così ci piace raccontarcela.
Ma tra un panel sulle buone pratiche e un post sponsorizzato da una compagnia aerea “green”, si rischia di dimenticare il nodo centrale: non basta nominare il problema per risolverlo. E non basta piantare un albero se nel frattempo se ne abbattono cento per costruire l’ennesimo villaggio “eco-luxury”.

La sostenibilità vera è fatta di scelte scomode, rinunce silenziose, coerenza senza palcoscenico. È la vecchia contadina che ricicla l’acqua del lavandino per le piante, non il colosso industriale che lancia il suo “manifesto verde” con un evento a cinque stelle.

No, non è un attacco alla sostenibilità. È una difesa del suo senso più profondo.
Perché chi, come me, crede che le parole siano mattoni morali, non può rimanere indifferente quando le vede svuotate, svendute, sbandierate come slogan in saldo.

Se tutto è sostenibile, niente lo è davvero.
E allora, in questa Giornata dell’Ambiente, proviamo almeno a non prenderci in giro.

Invece di domandarci “è sostenibile?”, forse dovremmo chiedere: “chi lo dice? con quale coerenza? e a quale prezzo?”

Il verde non è una moda. È una responsabilità.
E le responsabilità, si sa, non si stampano su carta patinata.

5 Giugno 2025 0 commenti
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Tra le righe del mondo

Mediterraneo: il dialogo immaginario

di Stefano Conte 29 Maggio 2025
scritto da Stefano Conte

A Roma si sono incontrati i rappresentanti di Italia, Grecia, Spagna e Tunisia per rilanciare – così dicono – la cooperazione culturale tra le due sponde del Mediterraneo.
Un bel titolo. Suggestivo, quasi poetico.
Partenariato Euromediterraneo: suona come un patto tra antiche civiltà, come un’eco proveniente dai porti fenici o dalle biblioteche bruciate. Ma basta avvicinare l’orecchio per accorgersi che, più che un dialogo tra sponde, è un monologo con eco istituzionale.

Perché la verità è che la cultura non dialoga nemmeno tra due quartieri dello stesso comune.
Figuriamoci tra Stati.

Mi sarebbe piaciuto applaudire all’iniziativa. Mi sarebbe piaciuto credere che fosse davvero possibile costruire ponti tra nord e sud del Mediterraneo, tra l’Europa che affoga nella burocrazia e il sud del mondo che cerca ancora spazio per respirare bellezza.
Ma la mia esperienza mi frena.
Anni di progetti, festival, iniziative di territorio mi hanno insegnato che la cultura è molto meno nobile di quanto appaia nei comunicati stampa.
Altro che genio, bellezza, amore.

Dietro il sipario, la scena è un’altra:
acredine tra associazioni, gelosie tra artisti, presunzione tra operatori, autoreferenzialità come cifra stilistica, egoismi mascherati da visione.
E ogni tanto, qualche abbraccio di circostanza sotto il palco. Ma appena cala il sipario, ognuno torna a difendere il proprio orticello, spesso incolto.

Le associazioni culturali, dicevo, non collaborano nemmeno nello stesso comune.
C’è chi fa teatro ma ignora chi fa musica. Chi organizza mostre ma snobba le biblioteche. E nei comuni vicini ci si guarda in cagnesco, come se la creatività fosse un dominio da presidiare, non un campo da coltivare insieme.

E allora, in questo scenario, cosa speriamo di costruire con la Tunisia?
Con la Grecia? Con la Spagna?
Se non siamo capaci di dialogare nemmeno con chi ha la sede a due isolati di distanza, con chi divide con noi il manifesto della rassegna ma non risponde a un messaggio?

Negli anni ho maturato una certezza amara quanto un caffè dimenticato sul fuoco:
la cultura, così com’è gestita oggi, non decollerà mai.
Non finché sarà un’industria drogata dall’aiuto pubblico, incapace di sostenersi, di innovare, di collaborare.
Non finché gli operatori saranno più preoccupati del proprio ruolo che del senso del proprio lavoro.

Serve una rivoluzione silenziosa.
Una cultura che non viva solo di contributi, ma di relazioni vere, di scommesse comuni, di economie circolari. Una cultura che torni ad essere ponte, e non palcoscenico.

Il Mediterraneo è pieno di coste, ma privo di approdi comuni.
Sarà anche per questo che, di partenariato, parliamo solo nei convegni.

29 Maggio 2025 0 commenti
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Il paradosso della settimana

Referendum: il popolo invisibile

di Stefano Conte 25 Maggio 2025
scritto da Stefano Conte

Un tempo, votare era un rito.
Non nel senso di un dovere meccanico, ma di un gesto quasi sacro: si usciva di casa, ci si metteva in fila, si rifletteva prima di segnare quella X. Era una forma di resistenza gentile, un esercizio di sovranità silenziosa.

Oggi, la cabina elettorale è diventata un luogo deserto. Più che il tempio della democrazia, sembra la stanza di un culto antico ormai dimenticato, come una santuario in un villaggio abbandonato.

Tra qualche giorno saremo chiamati a votare su temi che toccano le radici del nostro vivere civile. Ma nessuno ne parla. Non sui canali che contano. Non nei bar, né tra i post che raccolgono cuori e pollici.
Certo, l’informazione c’è. Da qualche parte. Ma per trovarla, serve uno sforzo attivo, e qui nasce il vero paradosso: viviamo nell’epoca della sovrainformazione, ma ci comportiamo come analfabeti funzionali. Non vogliamo sapere, vogliamo essere raggiunti.

Non è disinteresse. È comodità. È l’illusione che basti delegare anche la coscienza, come si delega la gestione del condominio.

Chi non va a votare non è necessariamente ignorante. È, spesso, un cittadino esausto. Ma è anche, e soprattutto, un cittadino che ha smesso di cercare.
E quando si smette di cercare, si comincia a perdere.
Prima si perde la curiosità. Poi la memoria. Infine, la libertà. E non ci sarà un algoritmo a restituircela.

Intanto la democrazia si aggira come un vecchio attore fuori scena: ha recitato per decenni, ora aspetta un applauso che non arriva più.

A chi sostiene che i referendum non servano più, rispondo che nessuno strumento è inutile finché c’è qualcuno che lo sa usare.
Ma qui il problema non è lo strumento. È la mano che lo impugna, è lo sguardo che dovrebbe accompagnarlo, è la voce che non si alza.

Finché continueremo a vivere da spettatori della cosa pubblica, più che da cittadini, i fantasmi saremo noi.
Non quelli vestiti di bianco a Montecitorio, ma quelli che si aggirano per casa, scrollando il dito e scrollandosi di dosso ogni responsabilità.

25 Maggio 2025 0 commenti
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Riflessioni

Attualità e simbolismo: un incontro inaspettato

di Stefano Conte 31 Dicembre 2024
scritto da Stefano Conte

Non amo i titoli sensazionalistici, ma questo, lo ammetto, è un po’ teatrale.

Però dice il vero. Perché il punto d’incontro tra attualità e simbolismo esiste, anche se in pochi se ne accorgono.

Viviamo immersi nel presente, spesso fino al collo. Le notizie si succedono senza tregua, i dibattiti si infiammano e si spengono nel tempo di uno scroll. Eppure, sotto la superficie dei fatti quotidiani, si muovono forze più lente, più profonde, più antiche. Quelle del linguaggio, del mito, dei segni. Quelle dei simboli che tornano, mascherati da eventi.

Questo blog nasce da qui: da un modo di guardare il mondo che non separa il pensiero dalla realtà, la riflessione dalla cronaca, l’ironia dal dubbio.

Non troverai verità assolute, né certezze preconfezionate. Solo appunti sparsi, domande aperte, immagini che sanno più di quel che dicono.

Perché sì, a volte l’attualità parla con la voce del mito. E il simbolo, se sai ascoltarlo, commenta il telegiornale meglio di chiunque altro.

Questo primo post è un invito a rallentare, a leggere tra le righe, a lasciare che anche il gesto più quotidiano riveli la sua trama nascosta.

Benvenuti nel blog. Qui il pensiero è in infusione lenta. Il caffè è forte. E le parole… non vanno mai usate senza masticarle.

31 Dicembre 2024 0 commenti
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Chi sono

Chi sono

Un libero pensatore. Un osservatore del mondo che cammina ai bordi del pensiero dominante, non per snobismo, ma per gusto dell’asimmetria. Ho scelto di coltivare il dubbio come forma di conoscenza, l’ironia come forma di resistenza, la simbologia come chiave di lettura della realtà. E ogni tanto, anche come arma gentile per disarmare la banalità.

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